| La realizzazione dei fori per le mine. Disegno Pier Mario Locatelli SMS Baveno |
Aspetti storici: | Come si può evincere dai litotipi con cui sono costruiti gli edifici più antichi della nostra zona, l’utilizzo del granito proveniente da escavazione è piuttosto tardivo ed è collocabile intorno al XVI-XVII secolo. In precedenza sono stati utilizzati tutti i massi erratici trasportati lontani dal luogo di origine dall’azione dei ghiacciai.
Il problema principale che si presentava per le possibilità tecniche del passato era quello staccare le porzioni di granito dalla massa della roccia madre
Nell’evoluzione delle tecniche di estrazione del granito si possono individuare tre grandi periodi: un primo periodo primitivo, caratterizzato da un basso rendimento di estrazione, in cui si utilizzavano cunei di legni inseriti in fratture naturali delle masse rocciose (le cugnere). Questi cunei venivano bagnati con acqua ed il rigonfiamento che ne derivava staccava blocchi roccia che potevano essere poi lavorati nelle dimensioni e forme volute. Successivamente, intorno alla prima metà 1800, si passa al periodo della mina. L’utilizzo della polvere da sparo (documentato sul Montorfano nel 1836) permette un alto rendimento di escavazione ma produce notevoli perdite di materiale effettivamente utilizzabile.
A partire dalla seconda metà del 1900 si passa alle modalità attuali di estrazione che possono essere definite il periodo razionale (cfr. scheda di approfondimento relativa). |
Narrazioni: | Se la roccia non era direttamente affiorante, era necessario eliminare manualmente lo strato di terreno soprastante. Attraverso un lungo ferro con punta in acciaio temprato, detto stampo, si praticava poi un foro di circa otto cm per la preparazione della mina. Era necessario percuotere con una mazza lo stampo e farlo ruotare per ottenere un suo avanzamento nella roccia. La rotazione dello stampo era ottenuta direttamente con le mani o attraverso corde, mentre per guadagnare tempo poteva essere percosso alternativamente da due operatori (queste operazioni richiedevano una notevole sincronizzazione, l’ideale era trovare un battitore destro ed uno mancino). L’avanzamento in profondità era dell’ordine di grandezza di centimetri al giorno e ci sono stati parecchi fori dell’ordine delle decine di metri addirittura, intorno al 1930, ne fu scavato uno di 22 metri e mezzo.
Al termine del foro si introduceva un tubo metallico ancorato ad una cordicella, la cosiddetta campana, per pulire il foro stesso. Il tutto veniva poi riempito con la polvere nera (nitrato di potassio, carbone di nocciolo e zolfo) compressa e poi coperta di argilla. La miccia era un filo di canapa bollita in acetato di piombo cosparsa di catrame e pece.
Questa prima esplosione, ripetuta più volte, serviva per creare una larga crepa nella quale venivano introdotti anche 50 quintali di polvere nera per l’esplosione che staccava grossi blocchi.
Si trattava comunque di operazioni molto pericolose sia per gli operatori stessi, durante le fasi dell’esplosione, sia per i luoghi vicini per la ricaduta di materiali. Inoltre, le esplosioni, non facilmente controllabili, portavano spesso all’alterazione della stabilità dei versanti, causando anche successivamente il distacco di massi che è costato la vita a tanti cavatori che, fino all’avvento delle Società operaie di Mutuo Soccorso, lasciavano senza alcuna assistenza le loro famiglie. Questa attività, nel bene e nel male, richiamava sempre l’attenzione e ci fu addirittura un periodo in cui i giornali locali ed anche i fotografi accorrevano per documentare l’esplosione delle mine più grandi. |
Bibliografia: | Aa.Vv., Ossola di pietra nei secoli, Antiquarium Mergozzo, 1978
Margarini G.- Pisoni C. A., Il granito di Baveno. Un pioniere: Nicola Della Casa, Alberti Libraio Editore, Verbania. |
Altre Fonti: | Lavori non pubblicati:
ITIS Cobianchi Verbania: Area di Progetto La Lavorazione del granito sul Montorfano, Ind. Meccanico a.s. 1994-95
Pier Mario Locatelli SMS Baveno. |
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