(1) da “Gente del Belvedere” di Carlo Rossi.
Quella sera di gennaio del1892, l’osteria era deserta.
Sin (Teresa) era rimasta in casa sua con Mario; Angiolino, come era solito fare da qualche tempo, dopo cena, se n’era andato per i fatti suoi in qualche bettola di Pallanza. I Ferrari erano radunati intorno al camino che mandava calore e luce con la sua fiamma vivida.
Parlavano del più e del meno; Lina, rivolgendosi al padre disse:
«Pà, raccontate qualcosa che vi è capitato in gioventù!».
Padron Pietro, intenerito dalla richiesta della sua “tusina”, scavò nella memoria ricordi lontani:
«Eravamo nel 1868; la mamma e io, sposati da alcuni mesi, abitavamo in una casetta ad Intra bassa, non lontano dal torrente S.Bernardino.
L’estate era quasi trascorsa; si era giunti alla metà di settembre, quando incominciò a piovere. I giorni e le notti trascorrevano senza che l’acqua smettesse di cadere; sembrava fossimo in pieno diluvio universale. I torrenti si erano gonfiati terribilmente. Il S.Bernardino trascinava verso il lago tronchi d’albero strappati alle montagne, grossi sassi e oggetti d’ogni sorta.Iniziò ottobre; una notte fummo svegliati da urla di spavento e da uno strano, sordo rumore. Mi buttai fuori dal letto; appena ebbi messo i piedi a terra, mi accorsi che la nostra abitazione, situata al pianterreno, era allagata. Impressionatissimo, accesi la candela che stava sul comodino. Alla sua luce, vidi uno spettacolo pauroso: l’acqua filtrava dalle fessure della porta e lentamente si
alzava di livello. Anche la mamma era ormai in piedi; camminando nella fanghiglia, più morti che vivi dalla paura, radunammo gli oggetti più cari e importanti. Bisognava assolutamente andarsene da quel fabbricato che poteva diventare, da un momento all’altro, una trappola pericolosissima.
Fuori si udivano grida, voci che invocavano aiuto, miste al gorgoglio dell’acqua che scorreva impetuosa.
La pioggia, intanto, scendeva con un fragore assordante. Adesso si trattava di aprire l’uscio: che cosa ci aspettava? Tirai il catenaccio: la porta si spalanco verso l’interno del locale, una massa liquida, gelida, c’investi e ci butto a terra; Nel giro di poche ore il lago aveva invaso tutte le case di Intra bassa. Tenendo la mia “famiglia” (la mamma aspettava una creatura) stretta a me, continuai a trascinarmela dietro, cercando di avanzare; riuscimmo ad attraversare il ponte e a giungere sull’altra sponda del torrente. Non so quanto tempo impiegammo ad arrivare alla casa dello zio Martino. Eravamo più che fradici, mezzi congelati ma salvi; il nostro pensiero correva a tutti quei poveretti che forse non avrebbero rivisto la luce del giorno. Il mattino seguente m’intabarrai e mi avviai verso Intra, per vedere, nel caso in cui fossi potuto entrare nella nostra abitazione, se fossi riuscito a recuperare almeno il fagotto con l’oro e il poco denaro. Arrivato al limitare di quell’acqua torbida, guardai, spaventato: dove fino a qualche giorno prima esistevano case e laboratori pieni di vita, scorreva impetuoso il S.Bernardino che continuava a trasportare legna e altri materiali venuti da chissà quale luogo».